psicologia bambiniAiuto, il mio bambino morde!?!

2 Maggio 2017

Almeno una volta nel corso della prima infanzia, i genitori si trovano ad affrontare il tema dei “morsi”, soprattutto se il piccolo frequenta luoghi di aggregazione come il Nido o Centri gioco, in cui si trova a relazionarsi con altri bambini.
Ogni bambino può trovarsi ad avere il ruolo del “morsicatore” o della “vittima”; in entrambi i casi i genitori reagiscono con emozioni e sentimenti forti e contrastanti.
Nel primo caso, nel genitore del bambino “morsicatore” c’è il dispiacere, l’imbarazzo, la vergogna e la rabbia per il figlio che ha morso; egli mette subito in discussione le proprie modalità educative, si colpevolizza e a volte anche la reazione, che può essere brusca e arrabbiata, del genitore del bambino morso può accrescere questo disagio.
Nel secondo caso, nel genitore del bambino “vittima” ci può essere rabbia e frustrazione inizialmente, che spesso viene scaricata sul genitore del “morsicatore” o sulle persone addette alla vigilanza dei piccoli, ma poi, soprattutto se è una cosa che si ripete, subentra la paura che il proprio figlio non si sappia difendere, sia un “debole” e che lo sarà in tutte le occasioni della vita.
E’ bene fare un po’ di chiarezza, ed esplicitare alcuni aspetti di questo comportamento, di modo che il vivere questa esperienza diventi per i genitori meno dolorosa e preoccupante.
Nei primi tre anni di vita, ogni bambino attraversa quella che nello sviluppo è detta “fase orale”, una fase in cui si sviluppa la conoscenza e l’emotività, quest’ultima inizia ad essere manifestata, ma non certo canalizzata in ciò che è giusto o sbagliato.
Questi aspetti vengono esperiti attraverso la bocca: leccare, mettersi in bocca, mordere oggetti e persone porta alla conoscenza e a provare piacere.
Attraverso la bocca si sviluppa anche l’aspetto emotivo: il piccolo impara ad esprimere emozioni e pensieri che non possono ancora nè essere coscienti, nè venire verbalizzati, ma che in modo impulsivo vengono esternati liberamente, senza capire che possono fare del male o che ci possono essere altri modi per esprimerli. Un morso può essere rabbia, ma anche paura, ansia, frustrazione, affetto.
Non va scambiato per aggressività, è un gesto che appartiene ad una fase dello sviluppo e aiuta il bambino a comunicare la sua emotività, che ancora non ha parole.
Quello che può fare un genitore non è certo colpevolizzarsi, nè rispondere con gesti violenti; piuttosto cercare di comprendere cosa il bambino cerca di esprimere, fare attenzione alle situazioni in cui si manifesta: contesa di un oggetto, gioco motorio, forte eccitazione, ecc.
Rimane importante fargli comprendere in modo chiaro e continuativo che non è un gesto accettato con un “NO” sicuro e deciso, detto guardandolo negli occhi, facendogli capire che il morso fa male e lascia dei segni. Col tempo, con lo sviluppo del linguaggio, sarà importante che i genitori aiutino i piccoli ad imparare a riconoscere ed ad esprimere a parole le proprie emozioni.
Se ci si trova nei panni del genitore del bambino morso, per quanto possa essere doloroso trovare il proprio figlio segnato, magari sul viso o su più parti del corpo, è importante non scaricare questo dolore sul genitore del bambino mordace, non dipende da lui ciò che è successo, abbiate fiducia che quest’ultimo non farà passare inosservato al figlio l’accaduto. Abbiate, poi, fiducia nei vostri figli, che se non in quella occasione, ma in altre, facendo tesoro dell’esperienza, troveranno i modi e i mezzi per allontanarsi dal pericolo, uscendone illesi. Non  stimolate in loro comportamenti di difesa violenti: allora sì, si parlerebbe di aggressività!
Comprendere il motivo di un gesto all’apparenza così violento può aiutare a viverlo in modo sereno; ecco perchè è consigliabile sempre, non solo per i morsi, informarsi e parlarne con figure di riferimento come possono essere le educatrici, le insegnanti del proprio figlio, ma anche con gli altri genitori e se le situazioni persistono o diventano “altro” si potrà ricorrere anche ad un professionista; mai rimanere nella propria solitudine.

Monica Cerruti
psicologa psicoterapeuta

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